Visualizzazioni totali

venerdì 8 febbraio 2013

Microsolchi n. 21 - Kraftwerk – “The man – Machine” – Emi Records1978

Anche i Robot hanno un’anima.

A coloro che accusavano i Kraftwerk di essere “dei ridicoli robottini di plastica” capaci di fare solo  musica meccanica e ripetitiva, Ralph Hutter, in un’intervista, ripondeva che loro non erano meno “automi” della gente comune, che si muove ormai automaticamente secondo i ritmi dettati dalla civiltà industriale (come dicono i francesi: “métro, boulot, dodo” ovvero le giornate tutte uguali  che si ripetono in un loop continuo fatto di “metrò, lavoro, nanna”).
Già dalle prime note, o meglio dai primi effetti sonori di “The robots”, brano che apre il disco,  si capisce subito cosa ci aspetterà: uno scenario sintetico scandito dalla macchina con un ritmo preciso e ripetuto ossessivamente, come nella fabbrica di “Metropolis” di Fritz Lang.
“The Man-Machine”, disco del 1978, appartiene a quell’epoca in cui i sintetizzatori non stavano dentro ad un microchip come oggi, ma erano dei  monumentali macchinoni analogici fatti di spinotti e manopole varie, sicuramente non  alla portata di tutti, sia per complessità che per costo.
I suoni che ascoltiamo sono quelli di un’elettronica grezza e primitiva, come se fosse la fase embrionale di quella patinata  e danzereccia a cui si arriverà con le evoluzioni successive, talmente aliena da tutta la “musica che gira intorno”, sia dell’epoca che odierna, da rimanere sempre attuale nel tempo.
La capacità dei Kraftwerk e la bellezza di questo disco sta proprio nel saper creare delle melodie calde (“The model”, “Neon lights”) insieme ad atmosfere tese e coinvolgenti (“Spacelab”, “The robots”, “The man-machine”) unendo fra di loro suoni che, il più delle volte, di musicale hanno ben poco (come quei “borbottii elettronici” tipici delle macchine che si sentono nell’intro di “The robots”), dando vita ad un mondo in cui anche le macchine riescono a trasmetterci delle emozioni e a comunicare con “noi umani”.
Non dimentichiamoci del titolo: “The Man/Machine”. L’Uomo/Macchina o la Macchina/Uomo o l’Uomo vs la Macchina o viceversa. Tutto ruota attorno al tema di  quanto sia umana la macchina o di quanto sia macchina l’uomo. 
Ed il concerto dei Kraftwerk mette in scena proprio quest’ossimoro: un’esplosione di adrenalina e di beats che fuoriescono da laptop manovrati da quattro signori immobili ed asettici,  impassibili anche al boato che sale dal pubblico alla fine di ogni brano. Così li ho visti all’Auditorium del Lingotto di Torino nel 2004: un’esperienza sensoriale unica, come ascoltare la musica col miglior impianto hi-fi del mondo, sicuramente fra i migliori concerti visti in vita mia, se non il migliore.
E così era anche ai tempi di “Man/Machine” a giudicare da quanti ancora ricordino come “memorabile” la loro esibizione live, nei primi anni ottanta al Palalido di Milano.
Per tornare al disco, la copertina è un vero e proprio manifesto, a mio parere, come impatto visivo, al pari di  “London Calling” dei Clash, con i quattro “uomini robot” sulla scala che guardano a sinistra, in camicia rossa e cravatta nera a led, sicuramente un modello stilistico a cui si ispireranno tutti i musicisti elettronici  a venire.
Morale: con questo disco ho capito quanto possa essere emozionante la musica elettronica e, che quindi, anche i robot hanno un’anima. Da ascoltare assolutamente.
E come sempre è stato un piacere. Il Vs. Mauro.





   

Nessun commento:

Posta un commento