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lunedì 11 aprile 2011

Microsolchi n. 16

Quando Fernanda Pivano (La Nanda) parlava nelle interviste di Fabrizio De Andrè, le si illuminavano gli occhi, mentre diceva: “Fabrizio è un poeta”. Subito corro con la memoria alle immagini del funerale di Pasolini, quando c’è Moravia che, con la voce rotta dalla commozione, dice: “Oggi abbiamo perso un poeta, di poeti ne nascono uno o due ogni cent’anni”.

Ecco perché bisogna conoscere Fabrizio De Andrè, perché era una di quelle persone straordinarie come Pasolini, che, grazie alla loro sensibilità, sapevano decifrare la realtà , offrendoci una visione limpida, a volte  scomoda e sgradevole, ma spogliata da tutte le verità apparenti e dalle  ipocrisie.
Un esempio: a proposito dell’album “Le Nuvole” del 1991, Mauro Pagani, autore insieme a De Andrè di quell’album, ci svela che quel disco si sarebbe dovuto chiamare “Ottocento”, come una canzone di quell’album. De Andrè infatti sosteneva che “l’uomo tecnologico” dei nostri tempi aveva soltanto accelerato i metodi per comunicare (nel ’91 internet ed i telefonini non erano ancora un fenomeno  di massa, pensate un po’adesso!), ma come maturità ed evoluzione intellettuale era rimasto al 1815, ovvero al Congresso di Vienna (dategli torto!).
Non fatevi intimorire dal “cantautore”, come ho fatto io per anni, che, considerando “i cantautori” musicalmente pallosi, l’ho accantonato pensando che “tanto non è il mio genere”.
De Andrè, come i veri grandi, arriva a tutti, e la forma canzone era il mezzo che aveva scelto per esprimersi, ma la sua musica era solo un aspetto della sua persona. Basta ascoltare le sue interviste, ascoltare le sue conversazioni e vedere come ha vissuto, che il messaggio ti arriva lo stesso.
Nella mostra, oltre alla musica,  intelligentemente c’è molto materiale di questo genere, tra l’altro con trovate interattive (che brutta parola!) veramente coinvolgenti (non svelo niente, andate a vedere!).
Un’altra cosa che diceva sempre “La Nanda” nelle interviste era che “Fabrizio era il cantore degli ultimi”, che, per chi è abituato ai nostri tempi pieni di falsi “salvatori della patria” e di solidarietà/convenienza, mi faceva pensare alla posa dell’intellettuale impegnato, che in fondo poi non si sporca le mani.
No, pur essendo nato in un ambiente aristocratico, gli ultimi, gli emarginati (siano stati poveri cristi, prostitute, omosessuali, transessuali) lui ce li aveva dentro per dna e le mani se le sporcava eccome (basta pensare ai mesi del rapimento in Sardegna e al successivo perdono dei suoi aguzzini).


 
Per tornare al discorso musicale, da conoscere assolutamente è “Creuza de ma”  album del 1984; è Mauro Pagani, autore e produttore di quel disco, a parlare di quel periodo  in un filmato della mostra.  
Nell’84 non esisteva il genere “World Music” e l’unico tentativo di far conoscere ad un pubblico vasto la cosidetta “musica etnica” era stato di Peter Gabriel, che nel 1982 (ormai lasciati i Genesis e dedicatosi all’elettronica) organizza un festival in Inghilterra. Disastro commerciale totale: Peter Gabriel, per ripianare i debiti, è costretto a riunire i Genesis per qualche concerto.
In Italia poi, buio assoluto, e Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani che ti fanno? Un album di world music. La musica è quella del mediterraneo ed i testi sono in dialetto genovese.
Mi ricordo che, quando uscì “Sanacore” degli Almamegretta nel 1995, tutte le recensioni lo consideravano come il giusto successore di “Creuza de ma”, però pensate a cos’era l’Italia musicale di dieci anni prima e a quanto fosse innovativo quel disco per quei tempi.
Se vi piace “Sanacore” dovete ascoltare “Creuza de ma” e viceversa.
Morale: consiglio vivamente la mostra a tutti, soprattutto a quelli come me che, di De Andrè, ne sapevano poco e niente.
In conclusione devo un  “many thanks” al mio amico Fabio per le imbeccate da fan durante la visita della mostra, ma soprattutto per  aver fatto conoscere ad un “Joy division” come me il grande Faber.
E come sempre è stato un piacere. Ciaooo Mauro.

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